Cari lettori,
l’estate scorsa mi sono avvicinata, non senza esitazioni, a un grande classico della letteratura francese, conosciuto più per lo sceneggiato TV degli anni ’60 a esso ispirato, che per il libro in sé. Devo dire che inizialmente guardavo il colosso (sono più di mille pagine scritte in caratteri microscopici) con molta diffidenza e dubitavo che ne avrei intravisto, non dico la fine, ma almeno la metà, prima dell’inizio della scuola. Tuttavia, non dovete pensare che lo scopo della mia recensione sia confermare la più che comprensibile avversione che chiunque proverebbe istintivamente verso un’opera così…imponente; al contrario, la lettura di questo libro è stata una delle più sorprendenti che io abbia mai fatto.
Per chi non è appassionato delle antiche serie in bianco e nero (come me del resto) “Il conte di Montecristo” è la storia di un giovane marinaio, Edmond Dantes, follemente innamorato di un’affascinante catalana, Mercedes, che ricambiava il suo amore. Edmond, pur avendo solo 19 anni, aveva quasi raggiunto il culmine della propria carriera e della propria felicità; ma, come tutti gli uomini troppo fortunati, non potè fare a meno di attirare su di sé l’invidia di uomini malvagi: il contabile Danglars, il sarto Caderousse e lo spasimante, non corrisposto, di Mercedes, Fernand, che ordirono un complotto ai danni di Dantes, senza che questo sospettasse alcunché. Così, il giorno del suo banchetto di fidanzamento, Dantes venne arrestato con la grave accusa di bonapartismo e venne sbattuto nelle segrete della più oscura prigione di Marsiglia: il Castello d’If. L’ingiustizia e l’atrocità della pena subita lo spinsero quasi alla follia e al suicidio, ma improvvisamente comparve un uomo che cambiò il corso della sua esistenza: con lui progettò un modo estremamente ingegnoso di evadere, ma soprattutto, grazie a lui, poté riportare alla luce un immenso tesoro perduto, con il quale si trasformò nel conte di Montecristo, un personaggio leggendario, ricco all’inverosimile, senza terra e senza patria, misterioso e perturbante. Per anni tenne celata la propria identità, mentre preparava una grandiosa vendetta: poiché Dio sembrava essersene dimenticato, avrebbe pensato lui a fare giustizia, a punire i malvagi e premiare gli onesti. Cominciò a tessere una fitta rete di relazioni e inganni con pirati, briganti e contrabbandieri; ovunque passava, si succedevano eventi straordinari, rapimenti, omicidi misteriosi. Finché, d’un tratto, scoccò l’ora della vendetta…
Una volta entrati nella storia, non vi accorgerete nemmeno più del peso della carta sulle ginocchia: il ritmo è scorrevole, il linguaggio sospeso tra l’epico, il colloquiale e una sorta di raffinatezza tipicamente francese. Se mai troverete la forza di leggere la fine, vi assicuro che non vi deluderà: il più grande colpo di scena è proprio nelle ultime pagine. Alla fine vi resterà quel senso di piena soddisfazione, che solo i veri capolavori fanno provare.
Sofia Ravasio
Il faut avoir voulu mourir, pour savoir combien il est bon de vivre.
-Alexandre Dumas